Non è facile discernere

Non è facile discernere nella produzione scultorea di Giovanna Mazzagardi Spano una linea dominante, riuscire ad estrapolare un motivo stabile, continuo, sempre uguale a se stesso; come se l’estro e il fare dell’artista, pur mantenendosi visivamente costanti, venissero modificati ad un livello diverso ed interiore. Le linee di fondo ci conducono ad ammirare l’aura magica di amori senza tempo.
Amori famigliari, amori materni, amori passionali, amori naturali.
L’ Amore diventa principio primo, innata tensione cui il lunghissimo procedimento della creazione mira fino ad identificarsi con l’implacabile morsa della fantasia . Così in alcuni presepi esplode una carica di dolcezza, proprio nella trasfigurazione di un evento di Fede in qualcosa di più vicino a noi. La quotidianità investe la scena sacra. I gesti , le pose, il Bambino che non si stacca mai dal grembo materno e ne è costantemente inglobato. I paesaggi, le capanne, i colori. Tutto questo è frutto di una mente instancabile che miscela idee fantastiche a luoghi d’affezione, bloccati nel ricordo dell’esperienza. La Sacra famiglia miniaturizzata non viene investita da una natura amara come potrebbe sembrare, ma ne stempera le asprezze, investe tutto di luce e di felicità. Amore primordiale e forza motrice per l’intera umanità, il presepe, per questa artista, è metafora di una disposizione interiore che esalta il principio vitale. Le cose cambiano drasticamente quando la Sacra Famiglia scompare dalla scena.
Il culto per la Natura incontaminata cede il passo ad una formazione inquietante fuori controllo.
Voluttuosi vortici , spinte telluriche sfigurano la Natura, la rompono e la riformulano, parossismo delle teorie Einsteiniane, tutto si trasforma, e un velo di inquietudine investe il corpo plastico. Presenze mitologiche partorite da una mente colta si affacciano foriere di arcani segreti su un mondo che ha conosciuto le rivoluzioni della scienza.
L’elettricità si sprigiona mitigata sotto i bagliori dell’oro e l’elettromagnetismo nascosto tra i flutti del mare e le corse del vento. Qui è il paradosso: è un’arte che è stanca delle vecchie forme, ma non riesce ancora a farne a meno e perciò cerca di rinunciare alla pesantezza insita nella scelta del mezzo di espressione. Le sculture diventano pizzi, trame sempre più fragili e mirano al cielo. Ma ancora mutevole sotto la presa dell’estro è la formulazione della sua idea di Donna. Quasi tutte eroine senza nome, vittime imprigionate, artiste, dee, fragili e profonde.
Solo belle, sfortunate, ma stupende, infelici e spesso bloccate in questa espressione. Solo in alcune la tristezza dirompe e quando accade trascinano lo sguardo di chi le guarda in meditazioni dolenti, lo inducono tacitamente a pensare quello che loro stesse stanno pensando.
Miti e pensose non vorrebbero esprimersi e la mano della scultrice prova pena per loro, ma non le redime, non le aiuta e anzi le imprigiona, salvo poi dar loro una speranza: tra le maglie larghe di quelle prigioni potrebbero riuscire a scappare un giorno. Ma il vero capolavoro di Giovanna Mazzagardi Spano sono gli Angeli, pure colate di oro e vetro, barocchi, rococò stupendi. Imprigionati a terra riescono a volare comunque avvolti in vesti broccate sollevate dal vento.
Le sculture di questa artista sono gli specchi di un neopositivismo estetico, di una premete speranza, baluardi di una fede che è minacciata su tutti i fronti, ma riesce sempre e comunque a fornire le risposte giuste.
La felicità ora, qui, genera l’Arte, senza di essa tutto il mondo plastico di Giovanna Mazzagardi crolla e si spegne.

Elisa Mazzagardi (2007)